Vivevamo una sorta di schizofrenia. Sdoppiati fra una mente che razionalmente aveva ben chiaro i pericoli ed i rischi di una situazione di vera guerra, ed un cuore, o stomaco o fegato, che ci faceva vivere ed agire come se fossimo protetti da una corazza, per cui nulla poteva succederci.Per anni alcuni di noi hanno portato avanti le loro battaglie in difesa di una dignità umana messa in discussione da forze criminali potenti e feroci.Conoscevo don Peppe da quando eravamo giovanissimi. Ho ancora una foto che lo ritrae insieme ad altri amici nel salotto di casa mia, adolescente. Poi lui era diventato prete ed io comunista. Ma questo non ci impediva di condividere battaglie ed ideali di libertà e giustizia.Del resto io ero un cattocomunista e con don Peppe avevo condiviso anche esperienze tipiche del mondo cattolico. Ero stato barelliere a Lourdes con lui che era scout e sacerdote. Successivamente mentre io fondavo una associazione di medici per dare assistenza agli immigrati, lui costruiva un centro di accoglienza.Nel 1988 abbiamo organizzato una manifestazione anticamorra con un corteo per le strade della città,  un corteo affollato ma anche circondato da tanti guaglioni dei clan che sputavano al nostro passaggio ed inveivano contro i giovani manifestanti. Pochi giorni dopo alcuni colpi di pistola furono sparati verso le finestre della casa colonica dove viveva all’ora don Peppe. Ma noi non eravamo intimoriti e continuavano per la nostra strada.Nel ‘91 Don Peppe scrive e pubblica il documento “Per amore del mio popolo”. Io nel ‘93 decido di candidarmi a sindaco. Lui mi dà il suo aiuto in quella sfida.Ero ed eravamo convinti che nulla ci potesse colpire. Io poi pensavo anche che il prete con il suo collare bianco e la sua veste nera, fosse un paraurti, una difesa, contro ogni rischio e pericolo. Spesso nelle varie iniziative in quegli anni di terrore, lasciavo andare avanti la chiesa del territorio, non solo don Peppe, ma anche gli altri preti che a Casale erano convinti che la loro missione apostolica non era disgiunta da un impegno civile in difesa della libertà.Ma una mattina, il 19 marzo del 1994,  all'improvviso, ci sentimmo nudi ed indifesi. Ci apparve chiaro e netto davanti lo spettro della paura. All'improvviso ci accorgemmo di essere fragili, una piccola fiamma in una bufera, pronta ad essere spenta. Quella mattina il rito quotidiano del primo caffè viene interrotto da una telefonata e dall'annuncio della sua morte. Il terrore si impadronì della mia mente. Capisco in quei momenti che può  succedere, posso essere ucciso. Non è  più  la coscienza razionale a dirmelo, ma è  lo stomaco. La schizofrenia si ricompone.Quando in Chiesa vedo il suo corpo con il volto sfigurato dai colpi di pistola, sono sopraffatto dallo sgomento e dal terrore. Davanti al suo altare impreco contro un Dio che chiede ai suoi figli l'estremo sacrificio della vita. Ora so, ora so con certezza: possono uccidermi. Se hanno ucciso un prete in Chiesa,  possono uccidere chiunque e in qualunque momento.Il primo impulso fu quello di  scappare, fuggire lontano con tutta la mia famiglia, sicuro oramai che, dopo il prete, sarebbe toccato al sindaco.Ma come si può fuggire con un cadavere ai tuoi piedi? Come puoi lasciare che quella morte vada incontro alla putrefazione anche della memoria? Il soldato che nella battaglia vede cadere gli amici, i compagni, non può più tirarsi indietro perché, cosi facendo, renderebbe inutili e stupide quelle morti. Bisogna andare avanti per rispetto di quei caduti.La morte di don Peppe ha dato nuovo impulso alla lotta per la libertà. Da quel giorno, un numero sempre più crescente di uomini e donne hanno portato avanti la sua bandiera  e un po' alla volta sono riusciti a sconfiggere il drago della criminalità.Oggi si respira un'aria diversa  a Casal di Principe, anche se nessuno di noi è così ingenuo da pensare che tutto sia veramente e completamente finito. Sappiamo che spesso sotto la cenere cova ancora il male. Sappiamo che ha assunto forme diverse e che può di nuovo colpire, ma di sicuro molto è stato fatto e molto è cambiato grazie al sacrificio di un uomo.