"Don Peppe Diana cercava di aiutare la gente nei momenti resi difficili dalla camorra, negli anni del dominio assoluto dei Casalesi, legata principalmente al boss Francesco Schiavone, detto Sandokan.
Il prete che combatteva il totalitarismo della camorra fu ucciso dai clan e calunniato sui giornali locali, Don Peppe era semplicemente un prete, faceva (e bene) quello di mestiere.
Peppe Diana ci manca soprattutto per il modo con cui faceva antimafia. Un modo che veniva prima del suo essere prete, che nasceva dal suo vivere la comunità da cittadino attento ai bisogni, ai diritti e alle aspirazioni di chi viveva accanto a lui.
Soprattutto dei giovani.
Peppe Diana aveva capito, prima di tanti altri a Casal di Principe e in tutta quella zona asfissiata dalla camorra, che per sconfiggere la criminalità organizzata, bisogna mettere insieme atti piccoli, quotidiani simbolici, e la capacità di leggere i rapporti di potere all’interno della società. Peppe Diana non faceva sconti: alla politica, alla Chiesa, e agli stessi fedeli che frequentavano la sua parrocchia.
Il suo impegno civile e religioso contro la camorra ha lasciato un profondo segno nella nostra società. Oggi dal suo lavoro abbiamo tratto insegnamenti che si sono tradotti in politiche legislative che ancora oggi sono alla base del sostegno alle vittime della criminalità".