Quando in Italia si parla di Mafia e Mafie, ecco che si sentono risuonare, anzi riecheggiare nell’aria le potenti parole di un martire dell’antimafia, vissuto nel nostro lontano e vicino 1900, un secolo che ancora oggi è un tema di ampie discussioni, di qualsiasi tipo, da quelle storiche, a quelle sociali, fino ad arrivare a quelle giovanili. Il martire di cui sto parlando, è stato un uomo che ha indossato le semplici e umili vesti ecclesiastiche, e non quelle da magistrato come la coppia Falcone-Borsellino o quelle da giornalista come Giancarlo Siani o quelle da poeta e speaker radiofonico come Giuseppe Impastato, bensì la semplice veste nera da sacerdote. Non sto parlando di Don Pino Puglisi, ma del presbitero, scrittore e capo scout campano Don Giuseppe Diana, “Don Peppe”, al quale voglio dedicare questo articolo, partendo dalla sua biografia, per arrivare ai suoi insegnamenti.

Don Giuseppe Diana nasce il 4 luglio del 1958 a Casal di Principe (NA). Nel 1968 si licenzia in Teologia Biblica nel Seminario di Aversa e si laurea in Filosofia all’Università Federico II di Napoli. Nel 1978 entra nell’Agesci divenendo capo scout di Aversa, e nel 1982 prende i voti da sacerdote. Insegna Letteratura presso il Seminario Francesco Caracciolo, Religione Cattolica presso l’Istituto Tecnico Industriale Statale “A. Volta” e all’Istituto Professionale Alberghiero di Aversa. Il 19 marzo 1994, nel giorno del suo compleanno, muore a Casal di Principe in un attentato di matrice mafiosa, per opera di Giuseppe Quadrano che gli sparò vari colpi in faccia, aiutato da Mario Santoro e Francesco Piacenti, sotto la commissione della famiglia camorristica dei De Falco, i quali per scagionarsi dall’omicidio cercarono di far cadere la colpa sulla famiglia camorristica degli Schiavone. La lotta che Don Giuseppe Diana condusse contro la Mafia, gli fece conquistare la medaglia d’oro al valore civile. Pur essendo lucidamente cosciente dei pericoli che correva, non rinunciava a esporsi pubblicamente contro la camorra, fino a cadere in un brutale omicidio nella sacrestia, mentre si preparava per celebrare la Messa.

Don Peppe, come lui stesso amava definirsi, è stato un semplice uomo di chiesa, e si inalberava fortemente con coloro che lo definivano un martire dell’antimafia . Sacerdote vicino ai giovani, anche e soprattutto alla sua attività nell’Agesci di Aversa al fianco degli Scout. Un sacerdote animato da una profonda umanità e compassione che andava oltre al sacro e che spingeva gli altri a cercare chi erano veramente e a cercare Dio.

La sua lotta alla Mafia è stata una lotta combattuta attraverso la Sacra Parola del Vangelo, la quale ci rende veramente liberi e capaci di saper scegliere, proprio come ci insegna il messaggio originale del Cristianesimo. Un Vangelo che ci insegna a non tacere davanti a nessuna illegalità e oscurità e che ci “obbliga” a seguire l’unica via possibile per la redenzione e la salvezza spirituale e carnale, che è quella dell’annunciare la parola del Vangelo liberatore in nome di Cristo.

Un altro strumento utilizzato da Don Giuseppe Diana nella lotta alla Mafia è stato quello dell’Oratorio Parrocchiale utilizzato anche da Don Pino Puglisi; per Don Giuseppe Diana questo ambiente doveva essere un luogo per eventi che andavano dallo sport allo spettacolo. Per questo sacerdote l’Oratorio era solo uno strumento di difesa contro la Mafia, ma niente di più. Don Giuseppe Diana ci lascia come eredità un bellissimo testo dal titolo Per amore del mio popolo che fu diffuso nelle chiesa di Casal di Principe e in tutte le chiese aversane nel Natale del 1991, che insieme alla sua firma è accompagnato anche dalle firme dei parroci della foranìa di Casal di Principe. Un testo che ci dice come l’uomo debba combattere la Mafia e le Mafie, ovvero, essere in primis noi stessi dei Profeti e come loro andare in giro per il mondo e diffondere un messaggio di Giustizia, di Legalità, e di Libertà. Un testo che merita di essere analizzato meglio.

Il testo di Don Giuseppe Diana è incentrato sulla figura dei Profeta e come lui l’Uomo deve vedere l’illegalità, la deve denunciare, deve ricondurre l’uomo al disegno originario di Dio, deve ricordare il Passato, e farne uso nel Presente per non ricadere nell’Oscurità, deve suggerire la strada della vita, e lui medesimo deve consumare la fratellanza nel patimento. Come il Profeta, deve camminare sempre e per sempre sulla strada della Legalità e della Giustizia sociale e spirituale. Attraverso questo testo, Don Peppe ha cercato di salvare i ragazzi di Casal di Principe dalle oscure grinfie delle bande camorristiche locali. Subito dopo la sua morte si è cercato di infangare la sua figura attraverso articoli di giornale sui quali fu fatto passare come un frequentatore di prostitute e un pedofilo. Dichiarazioni infamanti e calunnie che caddero il 27 marzo 2003 quando ci fu la Sentenza di Appello che condannò Giuseppe Quadrano come esecutore del suo omicidio; in tal modo la figura di Don Peppe poté ritornare a risplendere di una luce buona e giusta, per la felicità della sua famiglia, dei suoi confratelli, e per la gioia di tutti i ragazzi e adolescenti che ancora oggi combattono la Mafia in suo nome.

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Non solo Per amore del mio popolo, ma anche altre parole vanno ricordate della sua lotta alla Mafia. Iniziamo con un suo intervento che fece nell’anno prima di diventare sacerdote, e più precisamente, ritorniamo al 19 marzo 1981, dove ci dice che dobbiamo incontrare Dio, rendendolo attuale ai tempi in cui viviamo. In noi stessi, come ci suggerisce Don Peppe, devono essere presenti la ricerca e la scoperta del Tu, che devono portarci e donarci la pace e la calma. Altre parole sono quelle contenute in un suo libello scritto in brutta dal nome Capo-Sacerdotale. Dimensione sacerdotale (Liturgia-Preghiera). Parola preghiera vita che dovrebbe risalire al 1987. Un testo che non è mai stato pubblicato, ma che è di vitale importanza, poiché si concentra sulla sfera sacerdotale del capo scout e dello scoutismo più in generale, il quale è concepito da Don Peppe, come il racconto morale del Regno Divino, poiché come il Padre Celeste, anche lo scoutismo contempla e valorizza le semplici e umili azioni giornaliere. Il capo scout, proprio come il prete e l’ecclesiastico, ha l’obiettivo e si pone il compito di mostrare Dio al Mondo, e di condurre il Mondo a incensarlo.

Fondamentale è anche l’intervista del 1992 rilasciata al Giornale locale Lo Spettro dal titolo “I preti anticamorra. La parola di Dio, spada a doppio taglio ”, in cui afferma che la Chiesa debba essere solo un mondo che s’impegni nel sociale, nell’aiuto dei poveri, e nell’aiuto agli emarginati, cioè una Chiesa di denuncia-annuncio. Un’ultima importante intervista è quella che rilasciò il 19 marzo 1992 dal titolo “Educare alla legalità”. Un’intervista che si concentra sul suo maggiore testo antimafia, che è il già citato Per amore del mio popolo, inteso dal suo stesso autore come un simbolo di rottura e contraddizione sociale a Casal di Principe, dal Natale del 1991 in poi. Inoltre ci dice anche che la lotta alla legalità è un qualcosa di profetico, ma non deve essere unicamente fermo allo stadio mentale, bensì deve essere un cammino pratico e “materiale”. Non solo attraverso queste interviste e attraverso il suo documento possiamo ricordarci di Don Giuseppe Diana, ma anche grazie al Comitato don Peppe Diana nato il 25 aprile 2006 a Casal di Principe, composto dall’Agesci Campania, dalla Scuola di Pace don Peppe Diana, dall’Associazione Jerry Essan Masslo, dal Progetto Continenti, dall’Omnia Onlus, dall’Associazione Legambiente circolo Ager, e dalla Cooperativa Sociale Solesud Onlus. Il Comitato don Peppe Diana dal 2003 cerca di costruire a Casal di Principe una Comunità Anticamorra. Anche la Scuola ricorda questo uomo di chiesa attraverso l’intestazione avvenuta il 21 aprile 2010 da parte dell’Istituto d’Istruzione Superiore di Morcone e attraverso l’intestazione dell’Istituto Comprensivo 3 di Portici. Anche la fiction televisiva (finalmente in maniera giusta), ci ha fatto ricordare la sua vita e il suo insegnamento, grazie alla fiction prodotta e trasmessa il 18 e il 19 marzo 2014, in onore del ventesimo anniversario della sua morte, dal titolo Per amore del mio popolo, con l’attore Alessandro Preziosi nei panni di Don Giuseppe Diana.

Oggi più che mai la voce e le parole di Don Giuseppe Diana riecheggiano forti e potenti, contro quell’Universo che Giuseppe Impastato definì come “una montagna di merda”, e che prende il nome di Mafia. La voce di Don Peppe, sarà per sempre una voce che riecheggerà nei nostri cuori, ogni volta che si parlerà di Mafia. Un Profeta che ha combattuto questi oscuri universi con il Vangelo. Ecco chi è stato Don Giuseppe Diana. Anche Noi dobbiamo seguire i suoi insegnamenti e diventare Profeti in quanto battezzati in nome di Cristo, e anche la nostra voce dovrà riecheggiare anno dopo anno, e secolo dopo secolo, contro la Mafia. Insegnamenti che oggi più che mai devono trovare spazio nella società odierna, come per esempio a Ostia dove vige omertà e paura nei confronti di clan mafiosi che comandano a piede libero, con atteggiamenti mafiosi e camorristici.

Insegnamenti che già da tempo a Chiaravalle, per esempio, sono messi in pratica dai ragazzi della Parrocchia di Santa Maria in Castagnola che ogni sabato nel Chiostro adiacente all’abbazia educano le nuove generazioni attraverso l’Oratorio; e li chiamerò con il nome di fantasia Legality Boys (Ragazzi della Legalità). Questi Ragazzi della Legalità usano come Don Peppe lo strumento dell’Oratorio per educare i nostri ragazzi al rispetto fra le persone, alla fratellanza, alla pace, all’amore, e alla contemplazione e diffusione della Parola del Vangelo e di Dio. Tutto questo lo fanno fondendo l’insegnamento di Don Peppe, con lo strumento usato da Don Pino Puglisi, ovvero il gioco inteso come uno strumento per la crescita sociale, civile ed etica, ovvero come qualcosa che può far diventare i nostri ragazzi, dei veri Cittadini del Mondo che non hanno paura di niente, perché illuminati dalla luce di Dio. Come disse Giovanni Paolo II, “non abbiate paura” e impegniamoci a contrastare la mafia, nelle sue forme più o meno grandi e luride.

STEFANO BARDI