Allentare il sovraffollamento delle carceri è una necessità ma il bando del Ministero della Giustizia che prevede la misura dei domiciliari per detenuti apolidi in strutture del Terzo settore, così come partorito, non è una soluzione. Il fallimento è annunciato. Il nostro è un appello che rivolgiamo fin da subito al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, ravvisando l’urgente necessità di intervenire per evitare una nuova emergenza sanitaria e sociale.

 Offrire al detenuto che non dispone di un domicilio effettivo e idoneo, la corretta ospitalità in un momento particolarmente serio come quello che stiamo vivendo, vuol dire prima di tutto prevedere un periodo di quarantena ed assicurare alla persona in misura detentiva alternativa un supporto sanitario e psicologico.

Visto poi che la maggior parte dei detenuti senza domicilio sono immigrati, è chiaro che l’ospitalità dovrà prevedere anche un programma di mediazione culturale con una capacità di comprensione reciproca che parte dalla lingua. A tutto questo si aggiunge quanto richiesto dal bando, prevedendo l’accompagnamento educativo e sociale alla vita autonoma durante la residenzialità, in raccordo con l’Uepe, i servizi territoriali, pubblici e privati, sociali, sanitari e per il lavoro.

Un servizio di accoglienza e cura che nessuna cooperativa sociale, associazione o altro ente del terzo Settore può espletare nelle modalità richieste con una diaria di 20 euro, assolutamente insufficienti. I costi per le imprese sociali non sono secondari e certo non annullati, è per questo motivo che il Comitato don Peppe Diana ravvede nel bando così come pubblicato, fino a questo momento, un grave pericolo di infiltrazione criminale di cui saremo poi chiamati a renderne conto in seguito, così come già accaduto in altri settori. 

In primis, l’accoglienza di immigrati che ha finito per registrare, in molteplici casi, una rea condotta di falsa integrazione.

C’è il fondato rischio che l’ospitalità sarebbe falsamente offerta da cooperative ed associazioni di indubbia etica al servizio dell’illegalità e che ai detenuti non verrebbe offerto l’adeguato trattamento alternativo al carcere.

Senza un reale sistema operativo, etico e comunitario coloro che escono dal carcere si troverebbero in una pericolosa vulnerabilità di cui potrebbe presto approfittarsi la criminalità organizzata e non. Al detenuto sarebbe solo data l’illusione di un recupero ma difatti si troverebbe in seconda analisi ad ingrossare le fila degli invisibili senza essere stati realmente presi in carico.

Crediamo sia giusto e sia compito prima di tutto dell’Ufficio Interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna per la Campania firmatario dell’Avviso pubblico per manifestazione di interesse in oggetto, escludere a priori qualsivoglia tentativo o pericolo di infiltrazione illegale ed il rischio di fallimento. È per queste ragioni che sentiamo il dovere impellente di chiedere che il Bando venga sostanzialmente rivisto e che si innalzino i criteri per pervenire ad un ‘Progetto inclusione sociale per persone in misura alternativa’.